"Per noi la crisi semplicemente non esiste. Gli ordini vanno bene, e contiamo di crescere anche nel 2005. Anzi, stiamo studiando la possibilità di aprire nuovi negozi". Nicoletta Spagnoli, 49 anni, amministratore delegato di un gruppo che vale oltre 100 milioni di euro di fatturato, è una vera anomalia nel tormentato universo della moda italiana. Per due motivi. Innanzitutto l'azienda non sente la parola recessione. Inoltre Luisa Spagnoli è un marchio interamente made in Italy, con un profilo molto particolare: niente sfilate, niente maghi del marketing e superconsulenti creativi, niente diversificazioni. I capi sono tutti venduti in Italia, attraverso una rete di 144 negozi, e prodotti all'estero, nei Paesi dove la manodopera è ancora a basso costo.
Seguite una politica aziendale molto conservatrice. Perché?
Il nostro è uno stile di abiti classico, con un'eleganza sobria e a buon mercato. Le innovazioni le abbiamo concentrate sui prodotti e sui negozi. Siamo arrivati così a un pubblico più giovane, riuscendo ad abbassare la fascia d'età della nostra clientela. Abbiamo dei punti vendita dove la clientela è formata da interi nuclei familiari, e anche questa diversificazione ci mette al riparo dal rischio di improvvise cadute della domanda.
Parliamo della produzione: 1 milione e 250 mila capi l'anno. Dove li fate?
Quasi tutti all'estero. Cina, Romania, Tunisia. E da qualche tempo anche in India.
La delocalizzazione produttiva è una scelta obbligata?
Assolutamente. Se avessimo dovuto continuare a produrre in Italia, la Luisa Spagnoli non esisterebbe più. I nostri sono articoli con un rapporto molto calibrato tra prezzo e qualità, e con i costi italiani i conti non tornerebbero mai.
Estratto da Economy del 17/06/05 a cura di Pambianconews