Ma davvero è stato utile comprare marchi su marchi? E davvero è necessario spendere decine di miliardi per acquistare il negozio più centrale nella via più esclusiva delle città più importanti del mondo e farlo ogni volta più bello? E, ancora, vale sempre e comunque la pena fare tutto da soli – disegnare, produrre, distribuire – dopo essere cresciuti a più non posso grazie all'aiuto di fornitori spesso eccellenti? Dopo un 2001 che segna uno spartiacque nel mondo della moda e del lusso, sarà quest'anno a dire chi ha scelto la strategia vincente. Ma se si guardano i numeri del 2001 (le società non quotate li pubblicano in queste settimane) si nota che ad avere le spalle forti sono soprattutto coloro che non hanno disperso energie, finanziarie e intellettuali. Che si sono concentrati sul proprio business e non hanno ceduto all'idea di una crescita precipitosa che se da una parte consente di fare balzi in avanti, dall'altra rimette in discussione dalle fondamenta, ogni volta, le aziende che ne sono coinvolte.
Come un corpo unico, di fatto tutte le società, indiscriminatamente, si sono buttate a capofitto sui negozi monomarca di proprietà, ma i numeri che iniziano a uscire sembrano indicare che questo tipo di distribuzione non porta l'aumento della redditività sperato anche per chi va a gonfie vele, soprattutto in relazione agli investimenti richiesti. In molti sono convinti che ci sarà un ripensamento generale e un ritorno ai negozi multimarche, in particolar modo per le società più piccole e nelle città di provincia.
L'altro grande tema sarà quello delle licenze. Agli anni d'oro in cui gli stilisti sono cresciuti grazie alle produzioni fornite da terzisti, è seguito un periodo di graduale ma costante ritiro delle licenze per ottenere – si è sostenuto – un maggior controllo della qualità (in parallelo, si è assistito al fenomeno dei terzisti che si sono trasformati in gruppi multibrand con l'acquisto di griffe). Ma gestire aziende verticalizzate che vanno dalla produzione alla distribuzione richiede una struttura e delle capacità, sia finanziarie che di management, non indifferenti. E, tra l'altro, non è detto che questo comporti necessariamente un aumento della redditività.
Ancora, quest'anno sarà di scena il problema dei cambi. L'andamento debole dell'euro rispetto al dollaro nel 2001 ha aiutato molti bilanci (le aziende della moda e del lusso hanno costi in euro ma buona parte dei ricavi nell'area del dollaro) ma la vicinanza della parità tra le due monete influenzerà in negativo i risultati di quest'anno e potrebbe costringere le società ad aumentare i prezzi in dollari per non perdere redditività. Gruppi, tra l'altro, che lo scorso anno hanno già sofferto di un calo di vendite negli Stati Uniti.
QUANTO RENDE IL BUSINESS….
(Reddito operativo in percentuale sul fatturato)
– Luxottica +16,7
– Diesel +16,4
– Tod's +14,3
– Benetton +13,7
– Armani +13,2
– Bulgari +11,8
– Lvmh +11,4
– Gucci * +10,5
– Trussardi +10,3
– Marzotto +9,8
– Giacomelli +7,0
– Prada +6,9
– Aeffe +6,3
– De Rigo +5,8
– Burani +4,6
– Csp +4,6
– It Holding +4,1
– Versace +3,6
– Marcolin +2,7
– Basicnet +2,4
– Stefanel** +0,1
– Finpart -3,3
– Ferrè -9,8
*Bilancio chiuso al 31/01/02
** Bilancio chiuso al 28/02/02