Dall’Epiro a via Condotti. Parte dalla Grecia, la storia di Bulgari, oggi trasformato in marchio da oltre un miliardo di euro, terzo gioielliere al mondo dopo Cartier e Tiffany. «Il mio bisnonno Sotirio, nato esattamente cent’anni prima di me, è stato un grande personaggio», dice Francesco Trapani, amministratore delegato della Bulgari, l’uomo che ha pilotato l’azienda romana verso la Borsa.
«Alla sua abilità artigianale e imprenditoriale — aggiunge — si aggiunge, tra il ‘10 e il ‘20, l’insegnamento ai figli Giorgio e Costantino: il primo, in particolare, si appassiona di pietre preziose ed è l’artefice della sterzata verso la gioielleria. Quando Sotirio muore, nel ‘32, i due figli si espandono a dispetto della crisi economica: in famiglia individuiamo proprio il negozio come ricetta del mito Bulgari sviluppato tra il ‘50 e il ‘60, con il boom di Cinecittà e la relativa invasione alle star hollywoodiane, i caffé di via Veneto e il mondo dei paparazzi. E Bulgari vende gioielli sempre più cari».
Intanto si aprono in rapida successione i negozi di New York, Ginevra, Montecarlo e Parigi. Ma paradossalmente un’ulteriore iniezione di notorietà arriva con il rapimento (durato un mese) di Gianni Bulgari nel ‘75, sotto i riflettori dei media internazionali.
«Zio Gianni — puntualizza Trapani — ha mantenuto le redini operative dell’azienda fino all’84, quando sono stato nominato amministratore delegato. In famiglia non ci sono stati litigi, come accade a volte in questi casi, ma certo il passaggio generazionale non è stato all’acqua di rose. Tra i tre zii c’era discordia sulle strategie, in particolare su come strutturare l’azienda».
Gianni ha scelto di farsi liquidare e ha poi venduto la partecipazione azionaria, mentre Paolo è tuttora presidente. «Sotirio ha creato l’azienda, Giorgio l’ha trasformata in gioielliere, Gianni ha capito l’importanza del brand e l’ha fatto diventare meno élitario con il lancio dell’orologio, nel ‘78, e di una serie di gioielli di design ma con pietre meno importanti e dunque a prezzi più abbordabili.
Una scelta sulla quale abbiamo successivamente capitalizzato in tutto il mondo. Paolo e Nicola hanno avuto il coraggio imprenditoriale di detenere quote importanti ma di delegare la gestione a me quando ero ancora molto giovane, di non lesinare sugli investimenti e di quotarsi in Borsa, nel ‘95, per raccogliere i capitali necessari all’espansione internazionale». Tre anni prima la Morgan Stanley valuta l’azienda 83 milioni di euro. Oggi ne capitalizza oltre 2.500.
sintesi dell'articolo di Paola Bottelli a cura di Pambianconews