La crisi del retail americano impatta sui titoli delle quotate a Wall Street. In un susseguirsi di casi di bancarotta (si pensi a gruppi come Aéropostale, Pacific Sunwear of California, Sports Authority e American Apparel) e di piani di ristrutturazione aziendale, infatti, la fiducia del mercato nei confronti delle più note insegne a stelle e strisce si è indebolita negli ultimi dodici mesi, arrivando talvolta a dimezzare il valore delle azioni dei player di settore. È il caso di Abercrombie & Fitch, il cui titolo ha perso il 50% nell’ultimo anno, con un prezzo di scambio (12,62 dollari) lontano dal massimo di 85,77 dollari del 2007. Nel 2016, le vendite del gruppo di New Albany sono diminuite del 5% rispetto al 2015 a 3,327 miliardi di dollari, mentre i profitti sono precipitati a 4 milioni di dollari dai 35,6 milioni dell’anno precedente. Nelle scorse settimane la stessa Abercrombie ha confermato la volontà di trovare nuovi acquirenti, alimentando le indiscrezioni su un possibile interesse congiunto del fondo di private equity Cerberus Capital e del retailer American Eagle Outfitters. Dal canto suo, anche il titolo di quest’ultimo ha lasciato sul terreno il 25,4% negli ultimi 12 mesi, complici performance di vendita sotto le aspettative: l’insegna di moda per teenager ha archiviato i primi tre mesi dell’anno con utili in picchiata del 38% per 25,2 milioni di dollari o 14 centesimi per azione, meno 16 centesimi per azione previsti dal mercato. Nel periodo, i ricavi sono cresciuti dell’1,6%, portandosi a 761,8 milioni di dollari, dato che tuttavia ha favorito l’annuncio di una politica di chiusure che presto si farà “più aggressiva“.
Ha perso oltre il 51% in un anno il titolo di Sears, oggi scambiato a 6,80 dollari, contro i 14,06 dollari del giugno 2016. Con il suo declino e le numerose dismissioni la catena della grande distribuzione, fondata nel 1886 da Richard Warren Sears, ha compromesso il futuro dei numerosi mall del Paese, che oggi faticano a riempire le superfici lasciate libere. Emblematico, inoltre, il caso di Macy’s che il 6 giugno scorso ha segnato un -7,7% a Wall Street, peggior performance di Borsa degli ultimi 5 anni, sulla scia di stime secondo cui il department store potrebbe chiudere l’anno con margini lordi più bassi di 60-80 punti base rispetto ai livelli del 2016 e vendite in flessione del 2-3 per cento. Negli ultimi 12 mesi le azioni di Macy’s hanno perso quasi il 34 per cento.
Sfiorano un -35% in dodici mesi, infine, le azioni della canadese Hudson’s Bay, controllante delle insegne Hudson’s Bay, Saks Fifth Avenue e Lord & Taylor, che oggi a Toronto vengono scambiate a circa 10,33 dollari. Penalizzato da vendite in costante declino negli utlimi 5 trimestri, la scorsa settimana il colosso del retail ha annunciato il taglio di circa 2mila posti di lavoro nelle diverse controllate, con licenziamenti che dovrebbero riguardare anche i top manager. Lunedì scorso, invece, il titolo di Hudson’s Bay ha registrato un veloce rialzo (+17% in apertura) quando il fondo Land & Buildings Investment Management (che oggi controlla il 4,3% del gruppo canadese) ha chiesto all’operatore di grandi magazzini di esplorare opzioni strategiche quali il delisting e l’ottimizzazione del portfolio di real estate.
Secondo Goldman Sachs, il declino delle catene fisiche e degli shopping mall, sempre più minacciati dall’avanzata dell’e-commerce (secondo Business Insider, dall’inizio del 2017 le chiusure annunciate sfiorano le 5mila unità), potrebbe segnare la ripresa degli esercizi commerciali più piccoli all’insegna di una “degentrification” (termine da intendersi come il contrario di “gentirification” e quindi come ripopolamento, da parte di un pubblico meno abbiente, di aree che prima erano prerogativa di chi ha una capacità di spesa maggiore). Con affitti destinati a scendere, spiegano gli analisti di Goldman Sachs, è possibile che gli spazi vuoti vengano riempiti da negozi più curati e personali, più portati a offrire servizi mirati e a promuovere un senso di comunità. Ovviamente, conclude la banca d’affari, anche questa nuova ondata retail dovrà tener conto del +15% annuo registrato dall’e-commerce.